LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 1

 

16 ottobre 2016 – 29ª domenica Tempo Ordinario

Ciclo liturgico: anno C

 

La parola di Dio è viva ed efficace,

discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.

 

Luca 18,1-8    (Es 17,8-13 - Salmo: 120 - 2 Tim 3,14-4,2)

                

O Dio, che per le mani alzate del tuo servo Mosè hai dato la vittoria al tuo popolo, guarda la tua Chiesa raccolta in preghiera; fa' che il nuovo Israele cresca nel servizio del bene e vinca il male che minaccia il mondo, nell'attesa dell'ora in cui farai giustizia ai tuoi eletti, che gridano giorno e notte verso di te.

 

  1. Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
  2. "In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno.
  3. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: "Fammi giustizia contro il mio avversario".
  4. Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno,
  5. dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi"".
  6. E il Signore soggiunse: "Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto.
  7. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo?
  8. Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".

Spunti per la riflessione

 

Quanto ci è essenziale pregare.

Quanto ci è necessario per coltivare una vita interiore. Attingere alla Parola, lasciarla fiorire, scavare, scuotere, consolare, riempire, illuminare. Certo ci vuole tempo, e anche molta umiltà.

Lasciarsi condurre, lasciarsi portare, lasciarsi colmare il cuore.

La Parola che giorno per giorno impariamo a conoscere, che è utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona, come scrive un affettuoso san Paolo al suo discepolo Timoteo.

Una preghiera che sa sedersi ad ascoltare Dio per poi ascoltare se stessi, che fa incontrare ciò che portiamo in noi stessi con ciò che abita il cuore di Dio. Una preghiera che sa chiedere, certo, ma anche lodare, intercedere, ringraziare, manifestare pentimento e desiderio di conversione.

 

Una preghiera necessaria per combattere, come sperimenta Mosè che intercede per il popolo che battaglia ai suoi piedi. E ha ragione: senza la preghiera perdiamo, senza l’interiorità il nostro agire diventa un’inutile perdita di tempo.

È faticoso pregare, per tutti: amici monaci, loro che pregano sei, otto ore ogni giorno, mi raccontano – sorridendo – della loro fatica a pregare.

Che buffo. Convincere alla preghiera è impossibile. Far smettere chi, pregando, ha scoperto il volto di Dio è altrettanto difficile.

Dovrei parlarvi della preghiera ma so che è un’esperienza unica e personale, che i libri per insegnare a pregare servono solo a chi li ha scritti.

Confidenze

La preghiera è il santuario in cui scopriamo il vero volto di Dio, il luogo dove l’anima incontra la nostra vita frammentata e sconclusionata. Conservare e coltivare una vita interiore in questo tempo feroce, in un occidente che ha smarrito l’anima, ha un che di eroico,

Come ho già avuto modo di scrivere, ho pregato tanto ma Dio non mi ha mai dato ciò che ho chiesto. Ma tutto ciò che desideravo, senza saperlo.

Ora, superata la metà della mia vita, ho scoperto il senso profondo di quel “bussate e vi sarà aperto”.

Solo che la porta che si è aperta non è quella a cui avevo bussato.

La porta dell’interiorità, del vero volto di Dio, della scoperta del sé, riusciamo ad aprirla solo se insistiamo, se non ci scoraggiamo, se accettiamo a volte di dirci stanchi, sfiduciati e ci sediamo sconfortati, lasciando che qualcun altro ci sorregga le braccia tese verso l’alto, come Mosè nella prima lettura. (Splendida immagine di Chiesa)

Giudice ingiusto

Il giudice della parabola non è Dio, non scherziamo, ma il mondo insensibile alla legittime richieste della vedova, vedova che è la sposa di Cristo, la Chiesa.

Luca scrive il suo vangelo quando le comunità cristiane nascenti sono travolte dalla follia dell’Imperatore che chiede di essere venerato come un Dio, e sono sconfortate e scoraggiate. E Gesù dice a loro e a noi: continuate a pregare, tenete legato il filo che vi unisce all’interiorità.

E tanto più il mondo sbraita e si agita tanto più siamo chiamati a dimorare, a insistere, a tenere duro.

Siamo chiamati a insistere.

Non per convincere Dio, ma per convertire il nostro cuore.

Insistere per purificare il nostro cuore e scoprire che Dio non è un giudice, né giusto né ingiusto, ma un padre tenerissimo.

Insistere non per cambiare radicalmente le cose, neppure per cambiare noi stessi, ma per vedere nel mondo il cuore di Dio che pulsa.

Insistere nella battaglia che, quotidianamente, dobbiamo affrontare, come Mosè che prega per vincere.

Insistere.

Ma non è della preghiera che vi voglio parlare.

Ma di quell’ultima, indigesta, bastarda domanda di Gesù che mi martella nelle tempie: “Quando tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?”

Fede?

Gesù è venuto, splendore del Padre, ci ha detto e dato Dio perché egli stesso è Dio. Ha convinto il mondo, riempiendolo di Spirito, riguardo a Dio anche se il mondo, e la Chiesa e noi, continuamente rischiamo di scordarci il volto del Padre per sostituirlo a quello approssimativo delle nostre abitudini.

In uno slancio di follia Gesù ha affidato il Regno alla Chiesa, a questa Chiesa, alla mia Chiesa, perché diventasse testimone del Padre. Alla Chiesa debole fatta di uomini deboli, seppure trasfigurati dallo Spirito.

Ma una cosa siamo chiamati a fare: avere fede.

Gesù tornerà, lo sappiamo, nella pienezza dei tempi, quando ogni uomo avrà sentito annunciare il Vangelo di Cristo. Verrà per completare il lavoro. A meno che il lavoro non sia fermo, paralizzato dall’incompetenza delle maestranze, dalla polemica dei ricorsi, dall’egoismo del particolarismo, dal litigio degli operai.

Ci sarà ancora fede?

Non dice: “Ci sarà ancora un’organizzazione ecclesiale? Una vita etica derivante dal cristianesimo? Delle belle e buone opere sociali?” Non chiede: “La gente andrà a Messa, i cristiani saranno ancora visibili, professeranno ancora i valori del vangelo?”.

La fede chiede il Signore. Non l’efficacia, non l’organizzazione, non la coerenza, non la struttura.

Tutte cose essenziali. Se portano e coltivano la fede.

Ma inutili e pericolose, se autoreferenziali, se auto-celebrative.

Altrimenti rischiamo di confondere i piani, di lasciare che le cose penultime e terzultime prendano il posto delle cose ultime.

Scuotimenti

Sano rimprovero, quello di Gesù oggi, sano realismo, sconcertante provocazione.

Gesù chiede ai suoi discepoli di conservare fede nella avversità, di non demordere, di non mollare, di continuare la disarmata e disarmante battaglia del Regno.

È tempo di fedeltà, di non mollare, di non demordere.

Proprio perché i tempi sono caliginosi.

Oggi, durante le nostre assemblee, con la nostra presenza, la nostra vita, il nostro desiderio, potremo dire: sì, Signore, Maestro, se oggi verrai, se ora è la pienezza, troverai ancora la fede bruciare.

La mia.

 

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L’Autore

 

Paolo Curtaz

 

Ultimogenito di tre fratelli, figlio di un imprenditore edile e di una casalinga, ha terminato gli studi di scuola superiore presso l’istituto tecnico per geometri di Aosta nel 1984, per poi entrare nel seminario vescovile di Aosta; ha approfondito i suoi studi in pastorale giovanile e catechistica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma (1989/1990).

Ordinato sacerdote il 7 settembre 1990 da Ovidio Lari è stato nominato viceparroco di Courmayeur (1990/1993), di Saint Martin de Corlèans ad Aosta (1993/1997) e parroco di Valsavaranche, Rhêmes-Notre-Dame, Rhêmes-Saint-Georges e Introd (1997/2007).

Nel 1995 è stato nominato direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, in seguito ha curato il coordinamento della pastorale giovanile cittadina. Dal 1999 al 2007 è stato responsabile dell’Ufficio dei beni culturali ecclesiastici della diocesi di Aosta. Nel 2004, grazie ad un gruppo di amici di Torino, fonda il sito tiraccontolaparola.it che pubblica il commento al vangelo domenicale e le sue conferenze audio. Negli stessi anni conduce la trasmissione radiofonica quotidiana Prima di tutto per il circuito nazionale Inblu della CEI e collabora alla rivista mensile Parola e preghiera Edizioni Paoline, che propone un cammino quotidiano di preghiera per l’uomo contemporaneo.

Dopo un periodo di discernimento, nel 2007 chiede di lasciare il ministero sacerdotale per dedicarsi in altro modo all’evangelizzazione. Oggi è sposato con Luisella e ha un figlio di nome Jakob.

Nel 2009 consegue il baccellierato in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano con la tesi La figura del sacerdozio nell’epistolario di don Lorenzo Milani e nel 2011 la licenza in teologia pastorale presso l'Università Pontificia Salesiana di Roma, sezione di Torino, con la tesi Internet e il servizio della Parola di Dio. Analisi critica di alcune omelie presenti nei maggiori siti web cattolici italiani.

Insieme ad alcuni amici, fonda l’associazione culturale Zaccheo (2004) con cui organizza conferenze di esegesi spirituale e viaggi culturali in Terra Santa e in Europa.

Come giornalista pubblicista ha collaborato con alcune riviste cristiane (Il Nostro Tempo, Famiglia Cristiana, L’Eco di Terrasanta) e con siti di pastorale cattolica.

Nel 1999 è stato uno dei protagonisti della campagna pubblicitaria della CEI per l’8x1000 alla Chiesa cattolica. Come parroco di Introd ha accolto per diverse volte papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI nelle loro vacanze estive a Les Combes, villaggio di Introd.

 

 

Esegesi biblica

         

La preghiera (18, 1-8)

Luca ha già parlato ampiamente della preghiera al capitolo 11, insegnando soprattutto che cosa chiedere (il Padre nostro) e come chiedere (la parabola dell’amico importuno). Ora conclude il discorso con la parabola del giudice e della vedova. L’introduzione della parabola appartiene alla redazione dell’evangelista e mostra che Luca utilizza questa parabola per educare il discepolo a una preghiera perseverante.

La preghiera assidua non consiste nel moltiplicare la parole: “Quando pregate non sprecate parole come i pagani…” (Mt 6,7-8). Non bisogna confondere la perseveranza con l’insistenza fastidiosa, né con la ripetizione meccanica e stucchevole. Tanto più che, se è vero che Dio ascolta sempre, è altrettanto vero che ascolta a modo suo. Non sempre ci dà quello che chiediamo, ma sempre quello che il suo amore gli suggerisce (11,9-11). Perseverare nella preghiera significa sempre fidarsi di Dio, sia quando ci ascolta, sia quando sembra ignorarci. Ed è proprio questo il caso che Luca intende illustrare. Difatti non dice soltanto di pregare sempre, ma aggiunge “senza stancarsi”, e questo sottende una situazione di delusione, provocata dal comportamento di Dio che sembra, a volte, venire meno alle sue promesse.

Fin qui abbiamo commentato le parole introduttive, importanti per comprendere lo scopo per cui Luca ha raccontato la parabola. Ma se si legge la parabola con attenzione, ci si accorge che essa si muove in una prospettiva differente. La figura principale non è la vedova che con la sua preghiera ostinata induce il giudice a farle giustizia, ma il giudice stesso. L’insegnamento della parabola non va cercato nell’insistenza dell’uomo, ma nella prontezza di Dio nel fare giustizia ai suoi eletti.

L’espressione “fare giustizia” ricorre quattro volte in questo brano (18,3.5.7.8) e può essere presa come parola chiave per la sua interpretazione. La sete di giustizia costituisce l’atmosfera dell’intera parabola. Nella Bibbia la vedova è il simbolo della persona debole, indifesa, povera e maltrattata. E così comprendiamo che qui la vedova rappresenta i poveri che domandano giustizia, il bene che si vede sconfitto. La preghiera della vedova somiglia alla preghiera dei martiri di cui parla l’Apocalisse: “Fino a quando, o Dio santo, tarderai a fare giustizia e a chiedere conto del nostro sangue a coloro che abitano la terra?” (Ap, 5,10).

A questo punto l’orizzonte della parabola si è molto allargato: non più soltanto il problema della preghiera e della sua efficacia, ma il problema della giustizia di Dio che sembra molte volte essere messa in discussione dalla storia. Se Dio è un Padre amorevole, perché le disgrazie? Se Dio è giusto, perché l’ingiustizia trionfa sul mondo? Gesù risponde nella parabola: continuate a pregare con insistenza e con fiducia. L’intervento di Dio non è soltanto certo ma “pronto”. Il vero problema non è l’intervento di Dio (che Dio faccia giustizia nella storia è infatti certo), ma la nostra fede: “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora fede sulla terra?”.

In altre parole: non siate inquieti né scoraggiati perché Dio sembra tardare a fare giustizia: piuttosto preoccupatevi per la vostra fede.